mercoledì 24 maggio 2017

La dissoluzione della morale cattolica




Ogni tanto trovo qualcosa di interessante che meriterebbe (merita!) la più ampia divulgazione, ma che per motivi intrinsecamente correlati all'idea esposta in oggetto, trova innumerevoli ostacoli; pochi osano allora rilanciare un pensiero che va controcorrente, che anzi è politically (S)correct; quando si parla di "lobby gay" e subito dopo di "chiesa" molti, ci pensano un momentino e poi decidono che SI va bene ma forse è meglio lasciar perdere... Invece in questo caso, cioè di questo articolo di Renzo Puccetti mi sembra proprio che valga la pena divulgarlo perché venga letto dal maggior numero possibile di persone, chissà che a qualcuno non si accenda una lampadina, e veda, riconosca che c'è, è in atto questa "dissoluzione della morale cattolica" a partire anche da una visione "moderna" della sessualità umana per arrivare allo stravolgimento stesso del cristianesimo, perché: "Le idee hanno conseguenze". Oggi, giorno in cui la Chiesa festeggia Maria Vergine Ausiliatrice, ricorriamo a Lei, chiediamoLe ora più che mai, che ci aiuti e intervenga con la Sua potente intercessione a salvare la Chiesa e... noi.

 Lobby gay e spinta per la dissoluzione della morale cattolica


Il 9 maggio sulla NBQ Lorenzo Bertocchi dava un resoconto puntuale dello sviluppo teologico avviato dall'esortazione Amoris laetitia (AL). Riportava che le encicliche Casti connubii di Pio XI e Humanae vitae del beato Paolo VI sulla contraccezione, Veritatis splendor sulla morale generale, l'esortazione Familiaris consortio sulla morale coniugale, entrambe di San Giovanni Paolo II, sono ormai apertamente sotto accusa. La colpa, dicono alcuni teologi, è di avere introdotto "dei blocchi di pensiero e di azione nella Chiesa cattolica", un "massimalismo morale", una "discontinuità" e una "forzatura nella lettura delle fonti tradizionali" a cui Amoris laetitia avrebbe posto rimedio. 

Nel 1914 l'accademico di Francia Paul Bourget scriveva il romanzo "Il demone meridiano"; vi si leggeva: «Bisogna vivere come si pensa, se no, prima o poi, si finisce con il pensare come si è vissuto». Il professor Richard Weaver nel 1948 pubblicava il libro "Ideas have consequences" (Le idee hanno conseguenze). Spiegava il disfacimento morale della modernità come lo sviluppo obbligato dell'idea nominalistica avviata da Guglielmo di Ockham. Azione e pensiero, pastorale e dottrina, ortoprassi e ortodossia non sono separabili. 

È questo attuale per noi? Sono convinto di sì. Senza una vita casta, è facile diventare autori e prede di idee viziose e queste, a loro volta, alimenteranno altre idee, spingendo ad ulteriori comportamenti in una spirale verso il basso. Ora io non mi arrogo di dire se AL affermi ciò che per alcuni è lodabile e per altri deprecabile, ovvero che vi siano circostanze in cui è permessa la Comunione a divorziati risposati che non vivano in continenza, se cioé Francesco contraddica San Giovanni Paolo II in Familiaris consortio, tuttavia, poiché autorevoli personaggi della Chiesa giudicano reale e sostengono con favore tale cambiamento, so esaminare le conseguenze logiche e necessarie di una tale idea. 

Dallo studio della questione del controllo delle nascite, raccolto nel mio volume "I veleni della contraccezione", ho compreso che il punto di tenuta dell'intera impalcatura morale bimillenaria cattolica ruota attorno alla inscindibilità dei significati unitivo e procreativo dell'atto coniugale. Lo dovette ammettere persino il giurista cattolico John T. Noonan nel suo studio pro-pillola: sin dagli albori del cristianesimo «nessun teologo cattolico ha mai insegnato "La contraccezione è un'azione buona"». 

Le idee hanno conseguenze e l'idea di separare sesso e fertilità ha conseguenze logiche. Se si ammette la sessualità sterilizzata, perché non la fertilità asessuata della fecondazione artificiale? Se è lecita la sessualità senza le conseguenze della paternità, se il sesso è un mero piacere, a che scopo caricarlo del fardello della fedeltà coniugale e del matrimonio stesso? E come negare il rimedio abortivo in caso di fallimento contraccettivo, una volta che la sessualità "liberata" dalla prole sia acquisita come il bene in certe situazioni? E ancora, se la fecondità è una mera appendice, attaccata alla sessualità con la clip tecnologica, perché mai dovrebbe essere rilevante la complementarietà sessuale nel matrimonio? 

Nel 1972 la filosofa Elizabeth Anscombe pubblicava un saggio in difesa di Paolo VI ed Humanae vitae dal titolo "Contraccezione e castità". Riporto un passaggio di quel testo della docente di Oxford: «Se il rapporto eterosessuale contraccettivo è lecito, allora, dopo tutto, quale obiezione può esserci alla mutua masturbazione, o alla copula in vaso indebito (extravaginale, n.d.r.), la sodomia, il sesso anale, quando la normale copula è impossibile o sconsigliabile (o in ogni caso secondo i gusti)? […] Ma se queste cose sono tutte giuste, diventa perfettamente impossibile individuare qualcosa di sbagliato, ad esempio, col rapporto omosessuale». E proseguiva: «Non sto dicendo: se pensi che la contraccezione va bene, allora farai queste cose; niente affatto. L'inclinazione alla rispettabilità persiste e i vecchi pregiudizi sono duri a morire. Ma sto dicendo: non avrai ragioni solide contro queste cose. Non avrai risposta a qualcuno che afferma, così come fanno molti, che anche loro sono buoni». 

Sono passati 45 anni e quelli che la Anscombe chiamava i vecchi pregiudizi paiono essere crollati per molti pastori. Com'ella previde, se oggi si cercano estimatori ecclesiastici della "bontà" sodomitica non c'è che l'imbarazzo della scelta: «Credo che sia uno sviluppo positivo che gli stati siano liberi di aprire il matrimonio civile per gli omosessuali» (cardinale Danneels). «Nella nostra cultura personalistica l'interdizione delle relazioni omosessuali è considerata come una discriminazione inaccettabile: ci saranno uomini e donne che non hanno il diritto di vivere apertamente la loro sessualità solo perché non vivono alla stessa maniera di come vive la grande maggioranza delle persone» (vescovo Bonny). «Gay si nasce» (cardinale Kasper). «Se c’è una relazione omosessuale fedele per trent’anni, non si può dire che non è niente, che non ha valore» (cardinale Marx). 

Quando nel 1930 gli anglicani decisero di rompere l'unità del cristianesimo sulla contraccezione, ciò avvenne anche per un motivo pratico: i pastori anglicani avevano cominciato ad usare la contraccezione con le loro mogli; come potevano dunque considerare un peccato ciò che loro praticavano in privato? Posso errare, e preciso di non volermi riferire a nessuna persona particolare, volendo semplicemente riferire un'impressione generale, ma un istinto mi suggerisce che qualcosa di analogo stia avvenendo riguardo a questo cedimento dottrinale nei confronti delle relazioni omosessuali. 

Ho l'impressione che l'interdizione all'ordine sacro per le persone con tendenze omosessuali, peraltro recentemente confermata sotto l'attuale pontificato, sia stata per decenni largamente disattesa ed ora se ne vedono i frutti avvelenati. I seminaristi sono diventati preti, i preti docenti, monsignori, rettori, vescovi e alcuni di questi cardinali. La lobby gay costituisce una piaga purulenta di cui, nonostante i tentativi, non si riesce a coprire il tanfo. 

Le idee hanno conseguenze. Quando il gesuita padre James Martin afferma che obbligare tutti a servirsi dei bagni corrispondenti al loro sesso biologico costituisce «un affronto alla dignità umana», fa solo un altro passetto nella stessa direzione: se la realtà biologica dell'altro non è rilevante per il coito, perché dovrebbe importare la realtà biologica di se stessi in qualsiasi attività? 

Quando si stila l'anagrafica dei sostenitori della Comunione ai divorziati risposati si scopre che gli stessi sono anche per la contraccezione, la fecondazione artificiale, sono muti sull'aborto, sono favorevoli al riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso (oltre ad essere contrari al celibato ecclesiastico e favorevoli all'ordinazione sacerdotale delle donne), tutta roba che riguarda i genitali, l'area dove si direbbe individuino il baricentro esistenziale dell'uomo. 

E non è un caso che anglicani e luterani, dopo avere dichiarato lecita la contraccezione, abbiano poi ammesso tutto il resto, compresa l'ordinazione di preti gay e la celebrazione di matrimoni omosessuali. Ci deve essere un qualche elemento teorico unificante. Lo troverete in ciò che Veritatis splendor rifiuta e condanna: etica della buona intenzione (Vs, 78), della situazione e proporzionalismo (Vs, 79) ed in ciò che difende: doveri della coscienza (Vs, 61) e male intrinseco (Vs, 80). 

Per questo difendere Veritatis splendor è decisivo. Aggirare gli assoluti morali negativi, ovvero le azioni che non si devono compiere mai per qualsiasi motivo ed in ogni circostanza, attraverso l'esaltazione del discernimento dei casi, obbliga a dovere presentare casi dove la legge non sia applicabile, cioè a quella casuistica da cui, a parole, si dice di non volere cadere. Fino ad ora tutti i tentativi hanno però rappresentato niente di più che l'irrisione della logica, quando addirittura non hanno confezionato performance tragicomiche come quella di sua eminenza il cardinale Coccopalmerio, cultura sopraffina, ardita al punto da produrre la singolare tesi giustificativa dell'adulterio a scopo antidepressivo. 

Il rendentorista Marcelo Vidal afferma che Amoris laetitia "è contro Veritatis splendor", ma se così è, allora non è più un modo pastoralmente diverso di affermare la stessa dottrina, è piuttosto un'inversione di dottrina, con buona pace dei pompieri. E se invece così non è, sorprende e sconcerta che non giunga alcuna smentita dagli interpreti di AL accreditati di autorevolezza. Ora si ode il bisbiglio su un prossimo cantiere per la rottamazione di Humanae vitae, ma fragorosa è stata la sordina messa all'ultima enciclica di Paolo VI e al martirio che gli è costata, in occasione della beatificazione di Papa Montini. 


Tuttavia la valanga non può fermarsi al solo ambito della morale e Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, uomini colti e razionali, ne sono stati consapevoli. Se si cambia l'insegnamento di Cristo sul matrimonio perché, come sostiene il capo dei gesuiti, non c'era il registratore per documentare con certezza le parole del Signore, perché non dubitare anche della resurrezione, dal momento che né Caifa, né gli apostoli avevano installato il sistema di videosorveglianza nel sepolcro? E perché difendere la transustanziazione eucaristica, se questa ostacola l'abbraccio ecumenico, in fin dei conti, mica c'era Piero Angela a controllare i fatti dell'ultima cena? I glossoprotrusi in servizio permanente effettivo possono sbraitare, agitarsi ed offendere quanto vogliono, possono pornoteologare, pornoconsultare e pornopraticare, ma alla fine le idee hanno conseguenze e tra queste vi è anche quella di svelare la mens dei loro autori.





sabato 13 maggio 2017

Omaggio a Giacinta, piccola guerriera



Oggi 13 maggio 2017  Francisco e Giacinta Marto che insieme alla cugina Lucia ebbero le famosissime apparizioni a Fatima sono stati proclamati santi da papa Francesco, che ha infatti letto la formula canonica che li iscrive nel registro dei santi; lo ha fatto nella Messa celebrata davanti al santuario che ricorda le apparizioni. I due piccoli veggenti erano stati beatificati da papa Giovanni Paolo II, qui a Fatima, il 13 maggio del Duemila. Dopo diciassette anni, ecco concludersi il percorso della santificazione nel centenario delle prime apparizioni. Di Lucia, morta nel 2010, è in corso il processo di beatificazione. Ma ora vorrei soffermarmi su Giacinta Marto, la più piccola dei tre pastorelli; lo faccio trascrivendo un articolo di Maurizio Blondet  che mi ha commosso e che denota una caratteristica dei santi: il coraggio; perché a sette anni Lei ne ha avuto tanto ed ha avuto anche amore, amore per tutte le anime per cui ha offerto la sua vita e le sue sofferenze.

Omaggio a Giacinta, piccola guerriera




(M.B. Questo articolo si intitolava "Pedagogia di lassù", lo pubblicai il 2 novembre 2013. Lo ripubblico  nel centenario di Fatima per omaggio alla piccola intrepida guerriera, al cui eroismo tanti sconosciuti hanno dovuto la salvezza dalla dannazione, senza nemmeno saperlo).

Questa è un omaggio a Giacinta, intrepida bambina. Riguardo la sua foto, quella che scattò ai tre ragazzini non so quale nobiluomo che disponeva di un  apparecchio.

I tre guardano tutti aggrottati, come facevano i contadini davanti alla macchina fotografica una volta, prima che della civiltà dell’immagine, così da sembrare scontrosi, ma perché essendo il fotografo con le spalle al sole, loro erano abbacinati – e intimiditi. Sono vestiti della festa, Francesco con un copricapo a maglia, le due ragazzine hanno la testa coperta non da un velo, ma da una specie di spessa copertina. Un’immagine da folklore.

Giacinta però spicca: è vistosamente la più piccolina di statura, avrà avuto otto anni, ha messo la mano sull’anca con un gesto di imperiosa, innata eleganza, e ci guarda dritto negli occhi, proprio noi. Lo sguardo e la bocca fermamente chiusa (tutti e tre nascondono segreti che non saranno rivelati se non decenni dopo: troppo intimi per parlarne, dirà la sopravvissuta) esprimono un sentimento preciso: determinazione. Determinazione di accettare anche questo «per i peccatori». Non fu il loro minor tormento, allora, vedersi circondati dalle folle, la curiosità degli estranei, le persone sconosciute che gli facevano domande indiscrete; sappiamo che Giacinta specialmente correva a nascondersi. Adesso, in posa, incantevole bambina, Giacinta offre anche questo sacrificio con assoluta determinazione.

Con assoluta determinazione

Una decisione che ha preso, si sa quando. «La visione dell’inferno suscitò un tale orrore in Giacinta che tutte le penitenze e mortificazioni le sembravano niente per riuscire a liberare qualche anima», ha scritto Lucia. «Spesso si sedeva e pensierosa cominciava a dire: l’Inferno, l’inferno! Quanta compassione ho delle anime che ci vanno! E la gente là dentro brucia come legna al fuoco!» E tutta tremante, s’inginocchiava con le mani giunte per recitare la preghiera che la Madonna ci aveva insegnato: O Gesù mio, perdona le nostre colpe, liberaci dal fuoco dell’inferno, e porta in cielo ….».

La Signora aveva chiesto loro: «Volete offrirvi a Dio disposti a sopportare tutte le sofferenze che egli vorrà inviarvi, in atto di riparazione per i peccato con i quali è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori»:

«Sì, lo vogliamo» avevano risposto tutti e tre, ardenti. Da allora facevano a gara per inventare sacrifici nelle loro giornate fra le sassaie, a sorvegliare le pecore, trovarono una corda lasciata da un carettiere, ruvidissima e grossa da «far soffrire orribilmente», e se ne fecero tre cilici, senza sapere che cos’erano. Giacinta era piena d’iniziativa per inventare sacrifici.

«Diamo le nostre provviste a questi bambini poveri per la conversione dei peccatori».
«Quando avevamo qualche prova da sopportare, Giacinta domandava sempre: “Hai già detto a Gesù che è per amore verso di Lui?”. E unendo le sue piccole mani alzava gli occhi al cielo e diceva: o Gesù, è per amore verso di voi e per la conversione dei peccatori».

I tre bambini furono messi in prigione: si voleva strappare loro il segreto. Giacinta credette che i genitori l’avessero abbandonata «e diceva, con le lacrime che le scendevano per le guance: né i tuoi né i miei sono venuti a vederci! Non gli importa niente di noi!» Aveva sette anni. «Non piangere, offriamo tutto a Gesù», le disse il fratellino Francesco, e fece l’offerta: «O mio Gesù, è per amor vostro e per la conversione dei peccatori». In carcere, «decidemmo di dire il nostro Rosario. Giacinta tirò fuori una medaglia che aveva al collo, e chiese a un carcerato che lo appendesse a un chiodo del muro e, in ginocchio, davanti alla medaglia, cominciammo a pregare. Anche i carcerati pregarono con noi, per quanto sapevano pregare, o almeno rimasero inginocchiati».

Quando cominciò ad ammalarsi, Lucia andava a trovarla e «c’era sempre un buon gruppo di bambini fuori dalla porta che mi chiedevano se potevano entrare a vederla. Lei si intratteneva con loro, insegnava loro le preghiere e a cantare, e consigliava loro di non fare peccati per non offendere il Signore a non andare all’inferno».

A questa bambina furono inviate visioni impressionanti del futuro. Un giorno a mezzogiorno, presso il pozzo, d’improvviso disse a Lucia: «Non hai visto il Santo Padre?» No. «Non so come è andata, ma ho visto il Santo Padre in una casa molto grande, in ginocchio davanti a un tavolo, piangente e con le mani sul viso; fuori della casa vi era molta gente e alcuni gli tiravano pietre, altri gli lanciavano imprecazioni e gli dicevano molte brutte parole. Dobbiamo pregare molto per lui!».

Una sera del 1917, disse alla cugina: «Non vedi tante strade, tanti sentieri e campi pieni di gente che piange perché ha fame e non ha niente da mangiare? E il Santo Padre in una chiesa che prega davanti al Cuore Immacolato di Maria? E tanta gente che prega con lui?»

Un giorno rimase tutta pensierosa. «Giacinta, a cosa stai pensando?». «Alla guerra che deve venire, Deve morire tanta gente! E va quasi tutta all’inferno! Devono essere distrutte tante case e morire molti sacerdoti. Vedi, io vado in cielo e tu, quando vedrai di notte la luce che quella Signora ha detto che viene prima (1) vienici anche tu». Vedeva, si ritiene, la seconda guerra mondiale, i suoi bombardamenti sulle città, i combattenti che vanno «quasi tutti all’inferno» perché quella fu la guerra delle ideologie atee di massa, milioni di uomini si massacrarono per le nuove fedi cieche e buie.

Nell’ottobre 1918 entrambi i fratellini si ammalarono. Giacinta raccontò a Lucia: «La Madonna ci è venuta a trovare, e ha detto che molto presto viene a prendere Francesco… A me ha chiesto se volevo convertire altri peccatori. Le ho detto di sì. Mi ha detto che sarei andata in un ospedale, e che là avrei sofferto molto. Di soffrire per la conversione dei peccatori, in riparazione dei peccati contro il Cuore immacolato e per amore di Gesù. Ho chiesto se tu saresti venuta con me; ha detto di no ed è la cosa che mi dispiace di più. Mi ha detto che mi ci porterà mia madre e poi resterò là, da sola!».

Riguardo la sua foto. Questa bambina di otto anni, con quel visetto dolcemente corrucciato, il corpicino gracile e indifeso, che resta sola nello squallore di un letto di ospedale lontano, in una città irraggiungibile dai suoi genitori, piccola malata incurabile e perciò chissà quanto mal sopportata. Padre Pio accennò una volta: essere «malato fra gente a cui dai fastidio, ecco una buona mortificazione». Non conosceremo mai le segrete umiliazioni che subì Giacinta, le mancanze d’affetto che le furono date, sempre circondata da volti estranei e cuori freddi; mai una carezza della mamma, la più desolata solitudine.

«Giacinta tornò ancora per qualche tempo a casa dei genitori verso la fine d’agosto 1919, con una grande ferita aperta sul petto». Un ferita aperta sul petto. Subiva le tormentose cure (le inutili cure, lei lo sapeva, a cosa doveva quella piaga) «senza un lamento, senza mostrare la minima insofferenza. Ciò che le costava di più erano le visite frequenti e gli interrogatori della gente, dalla quale ora non poteva più nascondersi. Offro anche questo sacrificio per i peccatori”, diceva».

A dicembre dello stesso 1919, ricevette di nuovo la visita della Vergine. «Mi ha detto che andrò a Lisbona, in un altro ospedale; che non rivedrò né te né i miei genitori; e che dopo aver sofferto molto, morirò sola; ma che non devo aver paura, che mi viene a prendere lei là per portarmi in cielo».

E così fu. Riportato all’ospedale a Lisbona (diverso da quello in cui era stata, per due mesi, in precedenza) poi la trasferirono in un orfanotrofio di suore a Lisbona, poi in un altro ospedale ancora. Sempre sola. E con quella gran ferita aperta sul petto. In uno dei suoi ultimi giorni, qualcuno le chiese se voleva vedere la mamma. Giacinta disse: «La mia famiglia durerà poco tempo. Presto ci incontreremo in cielo…».

Negli ultimi quattro giorni, la Signora le tolse tutti i dolori. Giacinta è morta il 20 febbraio 1920, suo fratello Francesco era stato chiamato in cielo quasi un anno prima. Lei non aveva compiuto ancora i dieci anni.

Mi rendo conto che questo racconto, piccolo omaggio alla bambina più eroica di cui abbia mai sentito, sarà inteso da molti come una prova della crudeltà del Cielo. La pedagogia vigente oggi risparmia ai bambini la visione del nonno morto, perché «non abbiano traumi», men che meno una descrizione dell’inferno, perché se no hanno paura; anzi, nemmeno le vecchie fiabe devono conoscere, perché «sono angoscianti». Non si deve far paura ai bambini, così cresceranno sicuri di sé, «senza traumi» e «senza complessi»; bisogna esentarli da ogni durezza della vita, ricoprirli di abiti firmati, prepararli a capire che è importante «aver successo», risparmiarli da punizioni, e soprattutto non imporre loro alcun dovere. La frase «volete sacrificarvi per…?» è da noi vietata. «Volete offrirvi a Dio per..?», suscita addirittura cachinni ed esecrazione.

Così, anche da adulti grandi e grossi e sperimentati – parlo anzitutto di me – ci si sottrae alla domanda «Volete offrirvi a Dio?», anche quando si capisce con la mente che è la questione più importante per noi uomini, che è il nostro sì che vuole, e che non ne dobbiamo aver paura perché «chi vuol salvare la propria vita la perderà».

La pedagogia di lassù è chiaramente diversa. Giacinta, che nemmeno sapeva leggere, rispose quel «sì» di cui non siamo capaci, incondizionato e determinato. Ha subìto crudeltà? Lei stessa si offenderebbe: l’ho voluto io! Per i peccatori!

Quanto al successo nella vita a cui dobbiamo preparare i figli… ora i tre fratellini sono in quella luce che videro quando la Signora aprì le mani: «comunicandoci una luce così intensa, una specie di riflesso che usciva e ci penetrava nel petto e nel più intimo dell’anima, facendoci vedere noi stessi in Dio, che era quella luce, più chiaramente di come ci vediamo nel migliore degli specchi».

Racconta Lucia che «ciò che più impressionava o assorbiva Francesco (il più contemplante e trasognato, ndr) era Dio, la Trinità in quella luce immensa che ci aveva penetrato nel più intimo dell’anima». Diceva: mi è piaciuto vedere il Signore e ancor più vederlo in quella luce in cui stavamo pure noi. Noi stavamo ardendo in quella Luce che è Dio ma non bruciavamo! Come è Dio! Non si può dirlo!».


Così, prego Giacinta. Con la tenue speranza di vederla – da una lontanissima penombra – lì in quella luce, la manina sul fianco mentre dà l’altra alla Vergine Mamma, che arde senza bruciarsi, con un gesto del braccio ringraziarla da lontano, lontanissimo: grazie Giacinta per quello che hai fatto anche per me.

Cara Giacinta, caro Francisco, pregate per tutti noi, voi santi tra i santi del paradiso.

venerdì 12 maggio 2017

L'angelo del Portogallo che annuncia Fatima




Domani saranno 100 anni dalla apparizione della Beata Vergine Maria a Fatima in Portogallo, la Madonna apparve a tre pastorelli: Lucia Dos Santos, di dieci anni, Giacinta e Francisco Marto, di sette e nove anni, per sei volte, dal 13 maggio al 13 ottobre del 1917. Domani sarà anche il giorno della canonizzazione di Giacinta e Francisco come annunciato dallo stesso papa Francesco, che sarà a Fatima proprio per l'anniversario delle apparizioni, quarto papa a recarsi a Fatima. L'importanza di Fatima è legata anche ai famosi tre segreti che la Chiesa attraverso i suoi più alti esponenti asserisce essere stati svelati definitivamente, mentre studiosi vari nel mondo, ritengono la questione ancora aperta e foriera di novità; quello su cui vorrei soffermarmi oggi è, rispetto alla storia notissima delle sei apparizioni, far notare che non tutti sanno che queste apparizioni furono precedute l'anno prima da tre apparizioni dell'angelo del Portogallo che si presentò a loro come l'angelo della pace. Nella prima apparizione della primavera del 1916, mentre i tre pastorelli si trovavano al pascolo sulla collina del Cabeço, videro un giovane, che si avvicinava e, quando giunse vicino disse:  "Non temete, sono l’Angelo della Pace, pregate con me"E inginocchiatosi piegò la fronte fino a terra e recitò per tre volte questa preghiera: "Dio mio, io credo, adoro, spero e Vi amo. Io Vi domando perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano, non Vi amano". Poi disse loro: "Pregate così. I cuori di Gesù e di Maria ascoltano la voce delle vostre suppliche". Poi scomparve. Nell’estate 1916, mentre si trovavano ancora sulla collina del Cabeço a pascolare il gregge e giocavano allegramente, apparve ancora l’Angelo e disse a loro: "Cosa fate? Giocate? Pregate, pregate molto! I Santi Cuori di Gesù e di Maria hanno su di voi dei progetti di misericordia. Offrite senza cessare preghiere e sacrifici all’Altissimo. In tutto ciò in cui vi è possibile offrite a Dio un sacrificio in atto di riparazione per i peccati da cui è offeso, e in atto di supplica per la conversione dei peccatori. In questo modo voi attirerete la pace sulla vostra patria. Io sono il suo Angelo Custode, l’Angelo del Portogallo. Soprattutto accettate e sopportate con sottomissione le sofferenze che il Signore vi invierà". Nell’autunno 1916 sempre sulla stessa collina, Lucia, Francesco e Giacinta stavano ripetendo molte volte la preghiera insegnata loro dall’Angelo, quando Questi comparve per la terza volta, tenendo nella mano sinistra un Calice; sopra al Calice sospesa un’ Ostia da cui cadevano alcune gocce di Sangue dentro il calice. L’Angelo lasciò il Calice e l’Ostia sospesi nell’aria e, prostrato fino a terra a fianco dei pastorelli, ripeté, imitato da loro, tre volte una nuova preghiera: "Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, io Vi adoro profondamente e Vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli del mondo, in riparazione degli oltraggi, dei sacrilegi, delle indifferenze da cui Egli medesimo è offeso. Per i meriti infiniti del suo Sacro Cuore e del Cuore Immacolato di Maria io Vi domando la conversione dei poveri peccatori". Poi prese nuovamente il Calice e l’Ostia e dette l’Ostia a Lucia e il Sangue del Calice a Francesco e a Giacinta dicendo: "Prendete e bevete il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i loro crimini e consolate il vostro Dio". Poi si prostrò di nuovo e ripeté ancora tre volte la preghiera della “Santissima Trinità” quindi scomparve. L'anno seguente, l'ormai famoso 13 maggio del 1917 era la domenica precedente l'Ascensione e Lucia, Francesco e Giacinta dopo aver assistito alla Santa Messa portarono il gregge a pascolare in un luogo detto “Cova da Iria” e quel pomeriggio consumata la merenda e recitato il S.Rosario cominciarono a giocare quando, all’improvviso, videro un lampo; pensando che fosse in arrivo un temporale cominciarono ad avviarsi col gregge verso casa; poco dopo videro un altro lampo e, dopo pochi passi, videro sopra un piccolo leccio, una Signora tutta vestita di bianco, più brillante del sole. Erano iniziate le apparizioni di Fatima che scuotono ancora la mente e il cuore di tutti i cristiani del mondo. 

In una sua omelia, padre Giorgio Maria farè, spiega bene l'accaduto:





Aggiungo anche un video di don Leonardo Maria Pompei su Fatima molto interessante.


L'angelo del Portogallo viene ormai da tutti considerato l'impersonificazione dell'Arcangelo Michele