lunedì 27 giugno 2016

Il complesso di superiorità



Popolo sovrano solo se vota come piace a "lorsignori"

di Robi Ronza   -   27-06-2016

www.lanuovabq.it


«Il popolo è  sovrano se vota “come deve”»:  così s’intitolava ieri su Il Sole 24 Ore un sorprendente intervento in prima pagina di Luca Ricolfi. Fondatore nel 2002 a Torino dell’Osservatorio del Nord Ovest (un istituto di ricerca che conduce rilevazioni sugli atteggiamenti della gente comune riguardo a economia, società, cultura e politica), Ricolfi è un sociologo di sinistra, ma non di rado sanamente critico anche nei confronti dell’area politico-culturale in cui si riconosce. 

Commentando il comune sentire di questi giorni a Torino, la città dove è nato e dove vive, Ricolfi nota come la sconfitta di Piero Fassino alle elezioni comunali e l’esito del recente referendum popolare in Gran Bretagna abbiano dato spunto negli ambienti della sinistra torinese a quella che egli chiama una diffusa «animosità contro il suffragio universale». Gli stessi «che parlano con sufficienza, talvolta con ”disprezzo”,  - osserva il sociologo - , del popolo che vota Cinque Stelle o sceglie Brexit, sono prontissimi a lodarne la saggezza, la maturità democratica, la lungimiranza quando il popolo vota nel modo giusto. Gli stessi che invocano a ogni occasione la necessità di passare dalla fredda Europa dei tecnocrati, autoritaria e burocratica, alla calda Europa dei popoli, luminosa e democratica, immancabilmente si spaventano non appena, con un referendum, ai popoli viene concesso di dire la loro su qualcosa di importante».  C’è insomma qualcosa che non torna sul piano della logica. «E questo qualcosa, ho l’impressione», conclude Ricolfi, «ha a che fare proprio con il concetto di popolo». E anche, aggiungeremmo noi, con l’idea stessa di democrazia. 

Tutto questo vale in effetti non solo per Torino, spunto immediato delle sue osservazioni, ma per tutta l’Italia se non per tutta l’Europa. Al venir meno dei consensi proprio nel mondo di cui pretendeva di essere il rappresentante privilegiato, ovunque la sinistra reagisce mostrando il bastone: «la sinistra dice di amare il popolo, ma il popolo non ama più la sinistra. I ceti alti e medi prediligono la sinistra che però dice (o finge?) di rappresentare i ceti bassi», osserva Ricolfi. Su un giornale come Il Sole 24 Ore non si poteva pretendere che il sociologo facesse anche l’esempio delle affermazioni apertamente neo-autoritarie cui si sono lasciati andare al riguardo personaggi come l’ex-presidente della Repubblica Giorgio Napoletano o Mario Monti, sua creatura politica. 

A questo però nel nostro piccolo già l’altro ieri avevamo provveduto noi (clicca qui).  La cosa tuttavia non riguarda la sola Italia, né soltanto personalità di primo piano. É significativa la petizione lanciata in Gran Bretagna perché si ripeta il referendum, (cioè: il risultato del voto non ci piace, ripetiamolo per cambiarlo) benché il primo ministro Cameron avesse già in precedenza affermato che ciò è da escludere. Rispetto al numero di coloro che avevano votato “No” alla Brexit  i tre milioni e cento mila firme sin qui raccolte con un appello via Internet non sono poi gran cosa. Tuttavia, sono sintomatiche di quel comune sentire degli ambienti di sinistra di cui si diceva. Per ambienti come questi, che comunque vanno anche al di là di tale area, il voto, la democrazia è solo una tecnica di organizzazione del consenso.  Non si interpella il popolo per sapere quale sia la sua volontà. Lo si interpella perché approvi ciò che il potere vuole.

Un altro elemento sul quale sarebbe interessante che commentatori autorevoli e non prevenuti si soffermassero è lo schieramento pancia a terra per il “no” alla Brexit di tutti o quasi i grandi mass media (cioè: tutti i maggiori mass-media sono schierati per accreditare presso l'opinione pubblica solo l'esito desiderato dal "potere"). La vicenda ha di nuovo confermato che il grosso del sistema massmediatico internazionale si pone ormai come “cinghia di trasmissione” (per dirla con le parole di Lenin) delle decisioni di "lorsignori". La stampa italiana è ahimè ai primi posti di tale sconfortante graduatoria. Ciò che tuttavia ci deve preoccupare di più non sono in effetti le difficoltà del momento quanto piuttosto la mancanza di visione del ceto politico, sia di governo che di opposizione. Non si può reagire alla crisi con degli aggiustamenti. Se si vuole che l’Unione Europea non si sfasci occorre rifondarla, consegnando alla storia non solo gli attuali trattati ma prima ancora la filosofia politica elitaria, anti-democratica e tecnocratica su cui si fonda. Non basta andare a Bruxelles, e prima ancora a Berlino, a proporre novità di agenda ma senza discutere sulla struttura dell’Unione e sulla sua filosofia.

Di fronte all’entità della sfida nulla di adeguato invece viene dal centro-sinistra al governo, ma nemmeno dall’opposizione. Con il suo tipico impasto di buone intenzioni di generica matrice cattolica da un lato e dall’altro di una visione del mondo del tutto subalterna alla cultura  post-giacobina, il premier Matteo Renzi brandisce adesso come grande motore della riforma dell’Ue nientemeno che il manifesto scritto a Ventotene da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e altri ispirandosi alla filosofia di Kant: ossia al primo seme della crisi odierna. In realtà o si riprende la strada delle origini, quella della libertà  e non della tecnocrazia, quella della storia comune e dei suoi valori prima che degli interessi, quella insomma di Adenauer, di Schuman e di De Gasperi, o si continuerà a procedere verso il baratro.


Questo articolo di Robi Ronza commenta a sua volta un articolo di Luca Ricolfi sociologo, dichiaratamente di sinistra, che qualche anno fa scrisse un libro intitolato: "Perché siamo antipatici", in cui analizzava il sentimento di superiorità morale e antropologica della sinistra italiana definendolo "Razzismo Etico" (definizione che Ricolfi dichiarava aver ripreso da Marcello Veneziani); che cosa intendeva per razzismo etico? sostanzialmente quattro difetti peculiari della forma mentis della sinistra italiana:

1) L'abuso di schemi secondari. Quelle che Karl Popper chiamava ipotesi ad hoc, le scappatoie contro l'evidenza empirica. Le "scuse", insomma, con cui giustificare i fallimenti delle proprie ideologie dinanzi agli altri e - soprattutto - a se stessi. A destra «non esiste e non è mai esistito nulla di paragonabile all'immenso sforzo della cultura marxista di occultare i fatti - povertà, lavori forzati, repressione del dissenso - e di edulcorare le evidenze storiche dissonanti, dall'Unione sovietica alla Cina e a Cuba».
2) La paura delle parole. Una malattia nata negli anni Settanta negli Stati Uniti, dai movimenti di contestazione, che oggi impone agli individui di non parlare come vogliono. Detta altrimenti, la dittatura del politicamente corretto. Quella per cui i ciechi prima sono diventati non vedenti, quindi otticamente svantaggiati, senza che la loro vista nel frattempo migliorasse. Dittatura che ha condannato a morte parole di per sé innocenti, come vecchio (anziano), donna di servizio (colf), negro (afroamericano), spazzino (operatore ecologico). Così facendo, però, nota Ricolfi, la sinistra si è messa contro il senso comune della gente, che almeno in privato continua a chiamare le cose con il loro nome "vero": cieco, vecchio, spazzino... Senso comune che invece Berlusconi, con il suo linguaggio diretto, sa interpretare benissimo, erede in questo di altri grandi "irriverenti" come Sandro Pertini, Francesco Cossiga e Giovanni Paolo II.
3) Il linguaggio codificato. Vuol dire che quando quelli di sinistra parlano o annunciano i loro programmi la gente comune non ci capisce una mazza. Usano un linguaggio «legnoso, infarcito di formule astratte». Berlusconi, piaccia o non piaccia, usa le parole per spiegare concetti; la sinistra usa le parole per nasconderli. A chi? Ai suoi stessi esponenti: «Il problema della sinistra è che il suo discorso è indicibile, perché se fosse detto farebbe saltare l'alleanza. [...] Non è il nemico che non deve capire, ma sono "i nostri" che non devono ricevere segnali precisi. Se tali segnali venissero emessi, addio Ulivo, addio Fed, addio Gad, addio Unione, addio "unità delle forze produttive"». Insomma, sono costretti a non dirsi la verità a vicenda. Il giorno in cui ognuno a sinistra dovesse dire quello che vuole fare veramente una volta al governo (sulle tasse, le pensioni, la spesa pubblica etc) l'alleanza finirebbe.
4) Il complesso di superiorità etica. Ovvero la forma di razzismo di cui sopra. Bandiera di Micromega, rivista che rifiuta il concetto di scontro di civiltà con Islam, ma non si fa scrupoli di applicarlo al conflitto tra "le due Italie": quella dei "giusti" contro l'Italia della barbarie. A sinistra c'è una casistica sterminata in materia. Il migliore esempio è l'appello pubblicato da Umberto Eco su Repubblica prima del voto del 13 maggio 2001, nel quale l'elettorato di centrodestra è diviso in due. Dell'Elettorato Motivato fanno parte «il leghista delirante», «l'ex fascista», quelli che, «avendo avuto contenziosi con la magistratura, vedono nel Polo un’alleanza che porrà freno all’indipendenza dei pubblici ministeri». Sono «coloro che aderiscono al Polo per effettiva convinzione» e non cambieranno mai idea. Il resto degli elettori di centrodestra fanno parte dell'Elettorato Affascinato, composto per Eco da «chi non ha un’opinione politica definita, ma ha fondato il proprio sistema di valori sull’educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi. Per costoro valgono ideali di benessere materiale e una visione mitica della vita, non dissimile da quella di coloro che chiameremo genericamente i Migranti Albanesi». Un elettorato che, ovviamente, «legge pochi quotidiani e pochissimi libri», persone che «salendo in treno comperano indifferentemente una rivista di destra o di sinistra purché ci sia un sedere in copertina». Delinquenti e gente in malafede, dunque, assieme a poveri ignoranti cresciuti a pane, calcio e telenovelas. Gente che nella democrazia di Eco non pare avere diritto di piena cittadinanza, ma solo uno status di appartenenza inferiore.  Il punto è che non sono solo gli Umberto Eco, i Paolo Flores D'Arcais e gli Eugenio Scalfari (un nome, quest'ultimo, che purtroppo nel libro manca) a credersi espressione dell'Italia moralmente migliore che cerca di salvare il Paese dai delinquenti e dagli ignoranti. E' la base stessa, o almeno la gran parte più ideologizzata di essa, che la pensa così. Il libro cita un sondaggio realizzato dall'Osservatorio del Nord Ovest. Il 34% dell'elettorato di sinistra si sente "moralmente superiore", ma la percentuale «sale al 55,9% fra gli elettori di sinistra politicamente impegnati». Un abisso con la destra, dove questo sentimento di superiorità, altrimenti detto razzismo etico, è pari appena all'8,9% e non supera il 13,8% tra gli "impegnati". Anche in questo, dunque, c'è meno razzismo a destra che a sinistra.    (Fausto Carioti)

Quindi: la democrazia vale solo se il popolo vota e accetta quanto "loro" i democratici duri e puri hanno stabilito nel chiuso delle loro conventicole, se il popolo manifesta opinioni diverse, come ultimamente sempre più  accade, ecco che il popolo (la maggioranza?) diventa populista, qualunquista, (argh-bleah-burp) addirittura... fascista. Complimenti.




Nessun commento:

Posta un commento

Tutti i commenti sono benvenuti tranne quelli offensivi